È da qualche giorno che ho questa canzone in testa. La adoro, perché son sempre stato affascinato dai binari, dalle stazioni, dai treni. I treni sono oggetti sacri, portano persone, portano storie, sanno essere corridoi e palcoscenici. Treni che portano storie, treni che le raccontano, treni che sono storie (e forse il mio posto preferito nel Museo è il Padiglione Ferroviario, con quei treni che mi piace tanto raccontare). E anche le stazioni. La “mia” stazione è quella di Lomazzo. Dista 20 metri dal posto dove è nata e cresciuta mia madre e dal posto dove lavorava ai tempi in cui studiava. Il posto anche che in qualche modo fece conoscere mio nonno (il mio ramo prealpino orobico) e mia nonna. Vivono tuttora lì i miei zii e i miei cugini, su una stradina che dà sullo stabilimento della Somaini. Da piccolo chiamavo quella fabbrica enorme (ora per metà abbandonata, destinata ad esser rasa al suolo per diventare un polo tecnologico) “la Pagoda”. A duecento metri da lì, sulla via parallela alla ferrovia verso Caslino, producono la Spuma 38. La prima volta che ho preso un treno, l’ho preso lì, probabilmente per un’altra stazione che ha contato molto nella mia vita, Como Laghi (o Como Borghi?). A Lomazzo ho preso un’infinità di treni, son partiti un’infinità di miei viaggi. Da quelli quotidiani per andare a Milano Cadorna, a quelli di svago per andare a Como Laghi, da quelli per prendere da Cadorna la metropolitana, raggiungere Centrale, e mollare per qualche giorno gli ormeggi verso qualche altro luogo. Ricordo quando un treno mi passò davanti, quando dovevo andare a trovare una ragazza a Como, ricordo vari preparativi per partenze. Ricordo tanti freddi in stazione alle 7 del mattino.
Ogni mànegh de chitàra in fondo el paar ‘na ferrovia, ogni manico di chitarra in fondo sembra una ferrovia. Altre stazioni le ricordo molto bene, pur non essendoci mai stato viaggiando, mi viene in mente quella stazioncina, a Borgo Panigale, che non ho vissuto in treno, ma non per questo fu meno intensa.
Sun che a parlà insèma a una cler,
bèvi per sculdàss, pö se tìri cumè un fèrr,
innaanz e indree in sö la cràpa del demòni,
cunt el cieel che spüda i stèll e sciüscia i lampioni
(Son qui a parlare con una saracinesca, bevo per scaldarmi e finisco per ubriacarmi. Avanti e indietro in testa al demonio, con il cielo che sputa le stelle e succhia i lampioni)
E poi, una cosa delle stazioni che mi ha sempre affascinato, è il suo unire e dividere persone. Quei saluti, quegli orari così incombenti alle volte. Ecco come mi viene da definire una stazione. È un luogo che scandisce un viaggio. Ed è così che una stazione riesce a scandire anche i nostri viaggi, le nostre storie, di qualsiasi tipo queste siano. Che siano vacanze, ritorni a casa, vita di tutti i giorni, incontri con amici e gente a cui si tiene, momenti da affrontare per un motivo o per l’altro. Stazioni di partenza, di arrivo, capolinea e stazioni di transito. Stazioni abbandonate e in disuso, e stazioni che sei lì ma non devi scendere né salire, stazioni mai esistite, stazioni solo sentite raccontare. Ricordo incontri con gente mai vista, commiati con gente che non avrei più visto, momenti impacciati, momenti intensi, momenti che erano entrambe le cose, ricordo arrivederci promettenti e altri invece bui e minacciosi, abbracci, baci, pacche e anche solo saluti di educazione. Ricordo sorrisi inarrestabili, groppi in gola, risate, lacrime. Gente che viene solo per salutarti, per portarti qualcosa per addolcire il viaggio, per tenerti compagnia in attesa di un treno, per salutarti nei 5 minuti tra quando le porte si aprono e chiudono, ricordo stazioni in cui ho solo pensato a gente, o ricevuto notizie, stazioni da cui si vedono campi da rugby o che sono vicine a pub. Ricordo ritorni da brucianti delusioni e stazioni dove alla fine non son mai andato. Ricordo mille momenti vissuti in stazioni.
E spèci un trènu che l’è mai partii,
sö sti binari che i henn mai finii
te me vedareet in tücc i staziòn
a specià quel trènu senza sö nissoen
(E aspetto un treno che non è mai partito, su questi binari che non son mai finiti. Mi vedrai in ogni stazione ad aspettare quel treno senza su nessuno)
Lomazzo, Como Laghi, Como Borghi, Milano Cadorna, Milano Centrale, Cadorago, Caslino al Piano, Bologna Centrale, Bologna Borgo Panigale, Parma, Lamezia Terme, Taranto, Roma Termini e Roma Tiburtina, Torino Porta Nuova, Saronno Sud, Como Camerlata, Como San Giovanni (Como San Giuvà, per gli amici), Prestwick International Airport, Glasgow Central, Leicester Central, Rugby, Coventry, Nuneaton, Birmingham, Nottingham, Luton Airport Parkway, Parigi Gare De Lyon, Zurigo, Milano Lambrate, Sesto San Giovanni, Napoli Centrale, Cantù-Cermenate, Santhià, Biella, Tradate, Reggio nell'Emilia, Quarto Oggiaro, Serenella, Verona Porta Nuova, Firenze Campo di Marte e Firenze Santa Maria Novella. A Firenze SMN c’ero già stato, a Firenze non proprio. C’ero stato solamente per dormire, di ritorno da Roma, ospite di amici di amici, ma non avevo visto la città. Questo weekend ho rimediato alla mancanza: i miei binari mi han portato a Santa Maria Novella (per gli amici SMN o Smadonna). È bello scendere da un treno per trovare un abbraccio, è sempre un po’ malinconico stare su una banchina e vedere, con un po' di groppo in gola, un treno che si porta via qualcosa. E non so come finire questo dannatissimo post, quindi non lo finisco, che se ne stia qui, come una stazione di transito, a guardare da dove arrivano i binari e scrutare dove son diretti.
Gh’è una roesa de plastica in mèzz a la rüdèra,
la fàcia de vedru de una guardia de fruntiera,
rutàmm, rutàmm che me fii cumpagnia
adèss ve foo vedè la sua futugrafia
[...]
A sto trènu de merda, soo piö cosa diich
(C'è una rosa di plastica in mezzo alla spazzatura, la faccia di vetro di una guardia di frontiera. Rottami, rottami che mi fate compagnia, adesso vi faccio vedere la sua fotografia. A 'sto treno di merda non so più cosa dire)