Per chi è troppo giovane per ricordare: Madness1 e Madness2.
E anche Best Comment Award.
Beccatevi questa:
Gita a Rontano, 2
4 months ago
This is Billie and This is Billie and This is Billie

After a little while Kehaar said, "Now you getting mudders, Meester 'Azel. All go fine, eh?"
"Yes. We'd never have done it without you, Kehaar. I hear you turned up just in time to save Bigwig last night."
"Dis bad rabbit, pig fella, 'e go fight me. Plenty clever too."
"Yes. He got a shock for once, though."
"Ya, ya. Meester 'Azel, soon is men come. Vat you do now?"
"We're going back to our warren, Kehaar, if we can get there."
"Ees finish here now for me. I go to Peeg Vater."
"Shall we see you again, Kehaar?"
"You go back hills? Stay dere?"
"Yes, we mean to get there. It's going to be hard going with so many rabbits, and there'll be Efrafan patrols to dodge, I expect."
"You get dere, later on ees vinter, plenty cold, plenty storm on Peeg Vater. Plenty bird come in. Den I come back, see you vere you live."
"Don't forget, then, Kehaar, will you?" said Bigwig. "We shall be looking out for you. Come down suddenly, like you did last night."
"Ya, ya, frighten all mudders und liddle rabbits, all liddle Pigvigs run avay."
Kehaar arched his wings and rose into the air. He flew over the parapet of the bridge and upstream. Then he turned in a circle to the left, came back over the grass track and flew straight down it, skimming just over the rabbits' heads. He gave one of his raucous cries and was gone to the southward. They gazed after him as he disappeared above the trees.
"Oh fly away, great bird so white," said Bigwig. "You know, he made me feel I could fly too. That Big Water! I wish I could see it."
Venerdì, Stazione Termini da solo, dopo aver accompagnato Silvia a prendere il pullman per Latina. Il mio treno partirà tra un'ora, il mio libro è agli sgoccioli, so che durerà si e no quanto il Lazio (la Toscana invece mi è toccato passarla assiso su un cesso delle FS, da Arezzo fin quasi a Firenze), e allora mi infilo da Feltrinelli, a cercare una copertina, un titolo che mi incuriosisca, un libro che mi tenga compagnia durante il viaggio. E quando mi ritrovo di nuovo di fronte il nome di Antonio Pennacchi, decido, ancora ipnotizzato dalla sua scrittura al fulmicotone, di acquistare il suo Shaw 150 - Storie di fabbrica e dintorni, una raccolta di racconti divertenti e pungenti, spesso con un retrogusto amaro. E a partire dal primo racconto, Nodulo cosmico, Pennacchi mi riavvolge nella sua mitologia Pontina, che rivolve attorno a Latina - già Littoria - e che ospita un fantasma del Duce che pattuglierebbe l'intero Agro Pontino - Sabaudia esclusa - in Moto Guzzi, e storie e personaggi sul palcoscenico di Cisterna di Latina, Aprilia, Sabaudia, Pomezia, dalla strada che porta a Roma, dalla via che porta a Latina Scalo, dalla Centrale del latte, dalla Centrale nucleare di Borgo Sabotino, dalla Fulgorcavi e dalla sua Shaw 150, che sembra quasi un vascello fantasma che solca i mari, con ogni personaggio che racconta la sua storia, e non è altro che un macchinario (una pressa idraulica orizzontale) che fa da cuore pulsante per questi racconti. Tutti i racconti girano attorno alla Shaw 150, sono stati raccontati "su" di lei, in senso fisico. Ed è così che storie apparentemente slegate tra di loro trovano una loro incredibile omogeneità, alcune si appiccicano ad altre, e Pennacchi se la gioca alla grande mischiando e creando dal nulla nuovi miti di provincia, leggende e dicerie, mescolandole con la storia e l'architettura di queste "città di fondazione". Racconti che rimangono sotto pelle, grazie alla forza della scrittura di Pennacchi. Verrebbe da citarne tanti, ma i piccoli drammi e storie che Pennacchi inventa tra fabbrica, città e provincia sono veramente tutti meritevoli. I miei preferiti sono probabilmente il drammatico Marco (in appendice al libro c'è Genesi di "Marco", una Memoria pronunciata dall'autore dinanzi ai giudici di Corte d'Assise nel processo per calunnia e diffamazione intentatogli su denuncia di terzi a causa di "Marco" - e Pennacchi dichiara Dopo questa arringa, naturalmente, il processo si risolse con una solenne condanna. L'assoluzione arrivò solo cinque anni dopo, in Appello, quando l'avvocato non mi fece proprio aprire bocca: "Stia zitto lei, che ha già fatto troppi danni l'altra volta") e il gustosissimo Sabaudia, in cui l'autore crea un leggendario Mussolini, incazzoso e superstizioso, che, colpito da ogni sfiga ogni volta che si approssima alla città litoranea allora in costruzione (in onore guardacaso di Savoia, e non sua), si rifiuta di avvicinarvisi fino al punto da evitarla ancora nelle vesti di fantasma che si aggira per l'Agro Pontino in Motoguzzi.C'è tornato un'altra volta. O meglio, ci voleva venire, ma non ci è arrivato. All'inaugurazione - 15 aprile 1934 - non è venuto. C'erano solo Savoia e marce reali. Era festa loro. [...] Lui per tutto il giorno è rimasto a Palazzo Venezia. Lo sentivano solo dire: "Sto cazzo di re". Ci ha spedito Cencelli. Poi c'è venuto qualche giorno dopo, in moto, da solo, per vedere com'era venuta. Ma quando ha fatto la curva, all'incrocio della Litoranea, ha sgommato sul brecciolino fresco e s'è ritrovato a gambe all'aria.
Non s'è fatto niente. S'è solo strusciato. Però ha preso paura. Ha detto: "Sto cazzo di posto". Ha rinforcato il Guzzi, ha scalciato la pedivella ed è tornato indietro. Non ci ha più rimesso piede. Una volta che Cencelli insisteva per farlo andare al collegio dei marinaretti gli ha detto: "Cence', non mi rompere: in quel posto non mi ci porti più nemmeno a pagamento. Portaci i Savoia". E non lo ha più voluto nemmeno nominare. Quando proprio doveva dirlo diceva: "Quelo posto", oppure: "Quel cazzo di posto".
E' per questo che anche da fantasma non ci viene. Gira notte e giorno per tutto l'Agro Pontino. Palmo a palmo. Col Guzzi 500. Fa il nume tutelare dappertutto, eccetto che qua. "E' chiaro che poi la gente ci si affoga", dice il Camparisoda pure se non è fascio.
Dice: "Sei un fascista prestato alla sinistra". Lo dice Cane, per via del fatto che voto Di Pietro e che ho un certo modo di pormi a sinistra con un atteggiamento di destra. Non nel senso di estremi opposti che si confondono, ma nel senso che un po' del rigore e serietà "destrorso" che ci mette Di Pietro, secondo me servirebbe alla sinistra, almeno credo (Cane smentiscimi). Oddio, anche alla destra, che non ha molto della destra, di 'sti tempi. Vabbè, a parte questi discorsi senza senso, Robbby (quack!) decide di regalarmi quindi, per il compleanno, oltre al già citato Cos'è una ragazza, anche Il fasciocomunista - Vita scriteriata di Accio Benassi, di Antonio Pennacchi. Letto in treno in direzione di Latina, guardacaso paese di Pennacchi e luogo principale in cui si svolgono gli eventi del libro. Leggere un libro in treno, una volta di più, si è rivelata un'esperienza particolare (ricordo ancora le lacrime su Baol di Stefano Benni (Milano-Bologna-Milano, sempre per motivi di cuore, e quelle sui Nuovi Misteri d'Italia di Lucarelli di cui ho parlato poco tempo fa), quando Milano-Roma-Latina (le tre stazioni del mio viaggio) si rivelano (oltre a Siena e Bari, ma in modo diverso) i palcoscenici principali di questa storia. Storia di un Accio Benassi che si rivela uno di quei personaggi terremoto della letteratura italiana: memorabile la sequenza in cui Accio mette in piedi uno sciopero per la Zona B di Trieste praticamente da solo. Un libro che, nel suo modo di narrare, mi ha ricordato molto altri due libri, che prendono in mano un personaggio e lo traghettano attraverso Storia e vicende d'Italia, con frequenti rimandi all'attualità di certi personaggi. Trattasi di Due di Due di Andrea De Carlo (pare Pennacchi lo detesti con tutta la sua anima, De Carlo) e Saltatempo di Stefano Benni. Accio Benassi però è un personaggio particolare, rispetto a Saltatempo e ai protagonisti di Due di Due: è un personaggio completamente scorretto, verace nella sua estremità. Parte dall'MSI e finisce alla Volante Rossa, crescendo pian piano e rendendosi testimone delle contraddizioni dei vari mondi con cui si trova ad avere a che fare, distaccandosene e prendendone le distanze. E' un vero cane sciolto, che sembra aver bisogno solo di se stesso. Storia fantastica e ottima nel suo offrire una sfaccettatura diversa, e spesso non andata a cercare, su certe vicende della storia e della politica italiane. Poi la scrittura di Pennacchi mi è piaciuta molto, diretta e vivace, con quell'uso sproporzionato e contagioso dell'espressione Dice: "...", e con i molteplici riferimenti alla storia e architettura di Latina, già Littoria, e a bonifiche e quant'altro. E, come se non bastassero tutte le coincidenze che trovo in libri e canzoni e film ogni volta, c'è anche il buon vecchio rugby:Abbiamo passato i mesi ad allenarci e a imparare il gioco, e tutti i giorni gli chiedevamo, all'allenatore federale: "Quando facciamo una partita vera?". E finalmente ci hanno organizzato l'incontro d'esordio con la Marina militare, al campo sportivo di Latina, e a noi non pareva vero. Ma quando sono arrivato negli spogliatoi e già stavo per cambiarmi - nel corridoio avevo incrociato il Federale che usciva, ma non ci siamo nemmeno salutati, ho visto che lui ha abbassato il viso, tutto scuro, proprio per non vedermi, e io non l'ho salutato e così è stato poi per sempre, da allora non ci siamo più detti una parola (lui in verità mi mandava a dire che ero un delinquente, un anarchico, un provocatore, e io gli rimandavo che era una testa di cazzo) - ma quando stavo per cambiarmi Adriano, il fondatore della squadra, il boss, il manager, m'ha detto: "No, tu no". Ci sono rimasto di merda. Ero titolare. Lui s'è scusato: "Non ci posso fare niente, non è colpa mia".
"Ma sono il migliore nei placcaggi."
"Lo so, ma quello ha detto che non gliene frega niente, posso giocare pure con uno in meno, posso perdere mille a zero, ma tu non devi giocare." Quella è stata l'umiliazione più grossa, anche perchè in tribuna c'erano un paio di ragazze che erano venute apposta per vedermi, le avevo messe in croce per farle venire: "Mò che gli racconto?". Ho provato a dirgli: "Vabbè, fammi giocare questa e poi dopo non mi faccio più vedere". Niente da fare, era una ritorsione in piena regola. Poi dice perchè non lo ha più salutato, perchè - dopo - hai fatto quello che hai fatto. E' stato più per la squadra di rugby - e per la partita con la Marina militare - che per l'espulsione dal Msi: il Msi lo posso pure capire, la squadra di rugby no. Lupo, invece, lo hanno fatto giocare. Dice: "Ma lui faceva il pilone". Ah, bei ragionamenti.