Venerdì, Stazione Termini da solo, dopo aver accompagnato Silvia a prendere il pullman per Latina. Il mio treno partirà tra un'ora, il mio libro è agli sgoccioli, so che durerà si e no quanto il Lazio (la Toscana invece mi è toccato passarla assiso su un cesso delle FS, da Arezzo fin quasi a Firenze), e allora mi infilo da Feltrinelli, a cercare una copertina, un titolo che mi incuriosisca, un libro che mi tenga compagnia durante il viaggio. E quando mi ritrovo di nuovo di fronte il nome di Antonio Pennacchi, decido, ancora ipnotizzato dalla sua scrittura al fulmicotone, di acquistare il suo Shaw 150 - Storie di fabbrica e dintorni, una raccolta di racconti divertenti e pungenti, spesso con un retrogusto amaro. E a partire dal primo racconto, Nodulo cosmico, Pennacchi mi riavvolge nella sua mitologia Pontina, che rivolve attorno a Latina - già Littoria - e che ospita un fantasma del Duce che pattuglierebbe l'intero Agro Pontino - Sabaudia esclusa - in Moto Guzzi, e storie e personaggi sul palcoscenico di Cisterna di Latina, Aprilia, Sabaudia, Pomezia, dalla strada che porta a Roma, dalla via che porta a Latina Scalo, dalla Centrale del latte, dalla Centrale nucleare di Borgo Sabotino, dalla Fulgorcavi e dalla sua Shaw 150, che sembra quasi un vascello fantasma che solca i mari, con ogni personaggio che racconta la sua storia, e non è altro che un macchinario (una pressa idraulica orizzontale) che fa da cuore pulsante per questi racconti. Tutti i racconti girano attorno alla Shaw 150, sono stati raccontati "su" di lei, in senso fisico. Ed è così che storie apparentemente slegate tra di loro trovano una loro incredibile omogeneità, alcune si appiccicano ad altre, e Pennacchi se la gioca alla grande mischiando e creando dal nulla nuovi miti di provincia, leggende e dicerie, mescolandole con la storia e l'architettura di queste "città di fondazione". Racconti che rimangono sotto pelle, grazie alla forza della scrittura di Pennacchi. Verrebbe da citarne tanti, ma i piccoli drammi e storie che Pennacchi inventa tra fabbrica, città e provincia sono veramente tutti meritevoli. I miei preferiti sono probabilmente il drammatico Marco (in appendice al libro c'è Genesi di "Marco", una Memoria pronunciata dall'autore dinanzi ai giudici di Corte d'Assise nel processo per calunnia e diffamazione intentatogli su denuncia di terzi a causa di "Marco" - e Pennacchi dichiara Dopo questa arringa, naturalmente, il processo si risolse con una solenne condanna. L'assoluzione arrivò solo cinque anni dopo, in Appello, quando l'avvocato non mi fece proprio aprire bocca: "Stia zitto lei, che ha già fatto troppi danni l'altra volta") e il gustosissimo Sabaudia, in cui l'autore crea un leggendario Mussolini, incazzoso e superstizioso, che, colpito da ogni sfiga ogni volta che si approssima alla città litoranea allora in costruzione (in onore guardacaso di Savoia, e non sua), si rifiuta di avvicinarvisi fino al punto da evitarla ancora nelle vesti di fantasma che si aggira per l'Agro Pontino in Motoguzzi.
C'è tornato un'altra volta. O meglio, ci voleva venire, ma non ci è arrivato. All'inaugurazione - 15 aprile 1934 - non è venuto. C'erano solo Savoia e marce reali. Era festa loro. [...] Lui per tutto il giorno è rimasto a Palazzo Venezia. Lo sentivano solo dire: "Sto cazzo di re". Ci ha spedito Cencelli. Poi c'è venuto qualche giorno dopo, in moto, da solo, per vedere com'era venuta. Ma quando ha fatto la curva, all'incrocio della Litoranea, ha sgommato sul brecciolino fresco e s'è ritrovato a gambe all'aria.
Non s'è fatto niente. S'è solo strusciato. Però ha preso paura. Ha detto: "Sto cazzo di posto". Ha rinforcato il Guzzi, ha scalciato la pedivella ed è tornato indietro. Non ci ha più rimesso piede. Una volta che Cencelli insisteva per farlo andare al collegio dei marinaretti gli ha detto: "Cence', non mi rompere: in quel posto non mi ci porti più nemmeno a pagamento. Portaci i Savoia". E non lo ha più voluto nemmeno nominare. Quando proprio doveva dirlo diceva: "Quelo posto", oppure: "Quel cazzo di posto".
E' per questo che anche da fantasma non ci viene. Gira notte e giorno per tutto l'Agro Pontino. Palmo a palmo. Col Guzzi 500. Fa il nume tutelare dappertutto, eccetto che qua. "E' chiaro che poi la gente ci si affoga", dice il Camparisoda pure se non è fascio.
1 comment:
Un altro libro stupendo di Pennacchi. Pian piano li sto leggendo tutti, e quanta verità c'è nelle sue parole!!
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