Stanno per finire, i miei primi 22 anni. Non potrò più cantare il pezzo di cui sopra o sperare di poterlo cantare un giorno con l'età giusta per cantarlo. Domenica passo ai 23 anni (o, come crede Muggsie, ai 36). Come ogni volta, comincio a cercare di capire i cambiamenti che ho fatto, a tirare le somme, a capire dove son cresciuto. Ed è stato un anno incredibilmente intenso, quello che ho appena passato, da quel punto di vista.
Molto ha cominciato a muoversi, un po' tipo domino-rally, a valanga, a partire da Belfast, Derry e Galway. Viaggiare aiuta a crescere, in diversi modi. Vedere posti diversi, abituarsi a modi di vivere diversi, portarsi dietro poche cose, fare a meno di tante persone, vedere cose nuove. L'Irlanda del Nord per me ha rappresentato una sorta di perdita dell'innocenza, rappresentata da un duro e angosciosissimo giro per le peggiori strade di Belfast. Posti dove ho visto e sentito cose che mi hanno scosso, si son prese una parte di me, forse mi han fatto diventare un po' più uomo e un po' più cosciente del mondo in cui vivo. Delle mie posizioni, delle mie convinzioni. Mi ha fatto rivedere il mio modo di pensare.
Diventare grandi è anche separazione, trovarsi faccia a faccia con la consapevolezza di dover far conto sulle proprie zampe. Un cordone ombelicale che ho reciso a Cromwell Street, di fronte all'Helga, l'ostello dove dormivamo a Belfast. Valigie fatte, saluti commossi con gli amici. Phoebe (lo stesso nome della sorellina di Holden, non penso sia un caso, visto che è spesso stata una "sorella maggiore") mi accompagna fuori dalla porta per salutarmi. Mi vede commosso, sente la mia voce tremare e un velo di malinconia velarmi gli occhi e dice: "Billino, non piangere". Io senza dir nulla mi son voltato di scatto, lacrime agli occhi, diretto verso la stazione dei bus di Belfast (ignaro, tra l'altro, di un paio di occhi che mi curavano con affetto già allora).
Mi son così diviso dai miei amici, ho voluto seguire un vento che mi portava lontano da loro, dalla lingua italiana, da Dublino. Un vento che mi teneva in Irlanda del Nord ancora un po', mi mandava a ovest, verso l'Oceano. Verso Derry e Galway e verso tre giorni in solitaria. Io, il mio accento da scozzesaccio e le storie che sento tatuate sulla mia pelle in qualche modo. Come il gigante Pintecaboru, che si cibava di storie e si faceva tatuare sulla pelle le mappe dell'universo, vere o immaginarie, da ogni viaggiatore o ogni persona che capitasse sul suo pianeta. Ecco, mi son nutrito di luoghi, di storie, di quel poco che una persona incontrata casualmente poteva darmi. Delle sue parole, dei suoi gesti, delle storie che raccontava. E di quello che certi luoghi sapevano dire, come la magnifica vista del Bogside di Derry da sotto le mura medievali della città.
Ho dovuto fare i conti con me stesso, scoprendo che non sono poi malaccio, anche se su certi difetti bisogna lavorare. Sono cresciuto quei 5 centimetri dentro, in Irlanda del Nord, e probabilmente la mappa di quella terra mi resterà tatuata sotto la pelle a vita. Mi ha sempre affascinato l'idea dei riti di passaggio delle tribù primitive (mi piacerebbe leggere qualche libro a riguardo, penso), e il fatto che molte volte il tatuaggio fosse il modo per marchiare chi era diventato uomo, magari dopo aver passato nei boschi una settimana da soli perchè trovassero se stessi e diventassero uomini.
Questo è stato il mio rito di passaggio, la mia agogè. Trovarmi solo in mezzo a un mondo sconosciuto, senza passare il tempo con la gente che si conosce, che parla la nostra stessa lingua. Con la mia vita chiusa in uno zaino e un paio di tasche, e soprattutto all'interno della mia pelle. Come una specie di calcio nel culo atto a far accelerare la mia crescita e spingere gli eventi ad accadere. Al ritorno a casa la telefonata di mia sorella e la notizia che sarei diventato zio.
Molto ha cominciato a muoversi, un po' tipo domino-rally, a valanga, a partire da Belfast, Derry e Galway. Viaggiare aiuta a crescere, in diversi modi. Vedere posti diversi, abituarsi a modi di vivere diversi, portarsi dietro poche cose, fare a meno di tante persone, vedere cose nuove. L'Irlanda del Nord per me ha rappresentato una sorta di perdita dell'innocenza, rappresentata da un duro e angosciosissimo giro per le peggiori strade di Belfast. Posti dove ho visto e sentito cose che mi hanno scosso, si son prese una parte di me, forse mi han fatto diventare un po' più uomo e un po' più cosciente del mondo in cui vivo. Delle mie posizioni, delle mie convinzioni. Mi ha fatto rivedere il mio modo di pensare.
Diventare grandi è anche separazione, trovarsi faccia a faccia con la consapevolezza di dover far conto sulle proprie zampe. Un cordone ombelicale che ho reciso a Cromwell Street, di fronte all'Helga, l'ostello dove dormivamo a Belfast. Valigie fatte, saluti commossi con gli amici. Phoebe (lo stesso nome della sorellina di Holden, non penso sia un caso, visto che è spesso stata una "sorella maggiore") mi accompagna fuori dalla porta per salutarmi. Mi vede commosso, sente la mia voce tremare e un velo di malinconia velarmi gli occhi e dice: "Billino, non piangere". Io senza dir nulla mi son voltato di scatto, lacrime agli occhi, diretto verso la stazione dei bus di Belfast (ignaro, tra l'altro, di un paio di occhi che mi curavano con affetto già allora).
Mi son così diviso dai miei amici, ho voluto seguire un vento che mi portava lontano da loro, dalla lingua italiana, da Dublino. Un vento che mi teneva in Irlanda del Nord ancora un po', mi mandava a ovest, verso l'Oceano. Verso Derry e Galway e verso tre giorni in solitaria. Io, il mio accento da scozzesaccio e le storie che sento tatuate sulla mia pelle in qualche modo. Come il gigante Pintecaboru, che si cibava di storie e si faceva tatuare sulla pelle le mappe dell'universo, vere o immaginarie, da ogni viaggiatore o ogni persona che capitasse sul suo pianeta. Ecco, mi son nutrito di luoghi, di storie, di quel poco che una persona incontrata casualmente poteva darmi. Delle sue parole, dei suoi gesti, delle storie che raccontava. E di quello che certi luoghi sapevano dire, come la magnifica vista del Bogside di Derry da sotto le mura medievali della città.
Ho dovuto fare i conti con me stesso, scoprendo che non sono poi malaccio, anche se su certi difetti bisogna lavorare. Sono cresciuto quei 5 centimetri dentro, in Irlanda del Nord, e probabilmente la mappa di quella terra mi resterà tatuata sotto la pelle a vita. Mi ha sempre affascinato l'idea dei riti di passaggio delle tribù primitive (mi piacerebbe leggere qualche libro a riguardo, penso), e il fatto che molte volte il tatuaggio fosse il modo per marchiare chi era diventato uomo, magari dopo aver passato nei boschi una settimana da soli perchè trovassero se stessi e diventassero uomini.
Questo è stato il mio rito di passaggio, la mia agogè. Trovarmi solo in mezzo a un mondo sconosciuto, senza passare il tempo con la gente che si conosce, che parla la nostra stessa lingua. Con la mia vita chiusa in uno zaino e un paio di tasche, e soprattutto all'interno della mia pelle. Come una specie di calcio nel culo atto a far accelerare la mia crescita e spingere gli eventi ad accadere. Al ritorno a casa la telefonata di mia sorella e la notizia che sarei diventato zio.
2 comments:
Beh allora non mi resta che farti i migliori auguri per la tua imminente venttreesima primavera, sperando che tu possa viaggiare sempre e guardare sto strano mondo, sempre con occhi diversi....
JoeDee
buon compleanno billie!
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